Misurato in miliardi, anzi in migliaia di miliardi, il debito pubblico rischia di essere un’entità siderale, astratta e quindi incomprensibile. Ma cos’è concretamente il debito pubblico, come viene gestito, con quale meccanismo aumenta di anno in anno, come influenza e limita le scelte di politica economica? Ecco alcune sintetiche risposte a questi interrogativi.
Da cos’è composto il debito pubblico?
Il debito pubblico viene definito come il valore nominale delle passività lorde di tutte le amministrazioni pubbliche. Concretamente, si tratta di monete, banconote, depositi (compresa la raccolta postale), prestiti e titoli di Stato. Non fanno invece parte del debito pubblico i debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche, ossia le somme dovute ai fornitori in cambio di beni o servizi e ancora non pagate.
Cosa sono i titoli di Stato?
I titoli di Stato sono obbligazioni emesse dal Tesoro, che si differenziano per la durata (da 3 mesi a 30 anni), il rendimento (fisso o variabile), l’assenza o la presenza di una cedola. Alcuni titoli di Stato sono anche indicizzati all’inflazione. I titoli di Stato rappresentano circa l’85 per cento del debito pubblico complessivo; alcuni sono emessi all’estero invece che sul mercato domestico.
Come si misura il debito?
Naturalmente il debito è espresso nella valuta del Paese, quindi nel caso dell’Italia in euro. Normalmente però questa grandezza viene espressa in rapporto al prodotto interno lordo, con una percentuale, per valutarne la sostenibilità. Infatti un dato ammontare di debito può risultare consistente per un Paese con un certo Pil, e del tutto gestibile per un altro che abbia, ad esempio, un Pil doppio.
Quando il debito è sostenibile?
Quando lo Stato è in grado - non solo nell’immediato ma in prospettiva - di fare fronte al pagamento degli interessi e di rimborsare le quote di capitale in scadenza oppure di sostituirle con nuove emissioni di titoli.
Da cosa dipendono l’aumento o la diminuzione della spesa per interessi?
Essenzialmente da due fattori: la crescita (o la riduzione) dello stock del debito e l’andamento dei tassi di interesse sui mercati internazionali, che influenza direttamente la componente variabile del debito.
Come si spiega il forte incremento del rapporto debito/Pil negli ultimi anni?
L’incremento del debito in valore assoluto dipende in generale dall’accumularsi di disavanzi nel bilancio pubblico; nel caso italiano ha contribuito in questo decennio anche il sostegno finanziario che il nostro Paese ha dato ad altri della zona euro o sotto forma di aiuti diretti (come nel caso della Grecia) o attraverso la partecipazione ai fondi europei ESM e EFSF. Il livello di questi sostegni sfiora i 60 miliardi. Ma soprattutto il rapporto debito/Pil, che è una frazione, è aumentato a causa della significativa flessione del denominatore, ossia proprio il prodotto interno lordo (Pil nominale): flessione che deriva sia dalla recessione iniziata nel 2008 e dalla successiva limitata crescita economica, sia dall’andamento nullo o molto moderato dell’inflazione a partire dal 2014.
Quando si potrà invertire stabilmente la tendenza all’aumento del rapporto debito/Pil?
Nel 2015, dopo sette anni di crescita ininterrotta, il rapporto debito/Pil è sceso seppur di poco, portandosi al 131,6 per cento. Nei due anni successivi si è mantenuto stabile al 131,3. Nel 2018 ha ripreso a salire (132,1%) essenzialmente a causa della bassa crescita nominale. Per invertire la tendenza servirebbero una maggiore crescita nominale (dunque più incremento del prodotto e più inflazione) e un livello dei tassi di interesse più contenuto: i rendimenti dei titoli di Stato italiani sono attualmente più alti di quelli degli altri Paesi dell’area euro (salvo la Grecia): è il famoso spread.